Mal dell’Esca: sfida del domani
Un convegno sulla malattia della vite:
servono ricerca e investimenti
Per contrastare il Mal dell’Esca, malattia fungina della vite che attacca il sistema linfatico del legno portando alla morte la pianta, occorrono interventi continui di investimento, ricerca e sperimentazioni. La patologia determina, oltre che un danno in termini naturali, anche una serie di rilevanti implicazioni economiche, sulle quali il mondo enologico, quello scientifico e quello imprenditoriale devono cominciare a ragionare in sinergia.
Tutto questo è stato oggetto di discussione questa mattina (venerdì 7 febbraio), al castello di Costigliole d’Asti, in occasione della tavola rotonda intitolata “Mal dell’Esca: sfida del domani”, organizzata dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato. Un convegno tecnico al quale hanno partecipato come relatori Mario Fregoni (Titolare della cattedra di Viticoltura all’Università Sacro Cuore di Piacenza, Presidente onorario dei Oiv, Organisation Internationale de la Vigne e du Vin), Paolo Viglione (responsabile di Sagea, azienda che si occupa prove sperimentali in agricoltura), Albino Morando (autore di oltre 160 pubblicazioni tecnico-scientifiche e ideatore, dal 1996, dell’agenda del viticultore “Vitenda”), Salvatore Giacoppo (tecnico viticolo che ha svolto numerose consulenze in collaborazione con il mondo scientifico,universitario e imprenditoriale).
Sintomo più comune del Mal dell’Esca è la cosiddetta “tigratura” delle foglie, striatura visibile che tuttavia non è sufficiente per certificare la patologia. È piuttosto il fusto della pianta che attesta la malattia: le spore dei moltissimi funghi identificati che causano il Mal dell’Esca tendono a depositarsi sulle ferite aperte, ossia in corrispondenza dei tagli conseguenti per esempio alla potatura, alla cimatura o alla grandine, nutrendosi della membrana cellulare.
« Oggi in Italia sono più di un milione ogni anno le piante che hanno contratto la patologia andando a morte sicura, ma non esistono rimedi predefiniti che garantiscano la guarigione. Le necessità sono quelle di cominciare a insistere nei tentativi e nella ricerca più sofisticata – spiega Mario Fregoni – A cominciare dalla diagnostica del legno che si usa nei vivai; ma anche una diagnostica in campo, che consenta di individuare le cosiddette tillosi, cioè le condizioni della pianta che ostruiscono il trasporto ascendente e discendente della linfa».
«Le nostre operazioni in materia di trattamento per mezzo di agrofarmaci – spiega Paolo Viglione – dimostrano che essi devono essere applicati durante il periodo invernale in modo che possano proteggere preventivamente le ferite della potatura. Il mal dell’esca va gestito in armonia con la gestione complessiva del vigneto: ecco perché la difesa dei tagli di potatura rappresenta un tassello imprescindibile, senza dimenticare l’efficacia dei più tradizionali formulati a base di rame».
«Un punto molto importante, sul quale abbiamo ancora molti dubbi, è sicuramente rappresentato dalla sostituzione delle fallanze – dichiara Albino Morando – Più in generale, abbiamo ancora dubbi irrisolti: sarebbe opportuno trovare promotori che collaborino per organizzare delle sperimentazioni diffuse e per dare risposte concrete ai viticoltori».
«In alcuni vigneti, anche se non è una soluzione risolutiva, è possibile recuperare le piante colpite da Mal dell’Esca effettuando un’eliminazione il più estesa possibile della vegetazione, dalla parte aerea compresa di ceppo fino a pochi centimetri dall’innesto, per poi riallevare il pollone e riformare il ceppo e la pianta – spiega Salvatore Giacoppo – Questa pratica può consentire di ritornare a una piena produzione in breve periodo. Questa valutazione è il risultato di un controllo in campo, orientata a definire una strategia che non era mai stata gestita in modo organico».
Interviene anche l’ingegnere Giancarlo Spezia, imprenditore e docente di Meccanizzazione Viticola: «In viticoltura la meccanizzazione ha spesso introdotto grandi benefici, ma talvolta conduce a standard qualitativi non auspicabili. Quando una macchina apre ferite nette o grandi, per esempio, le conseguenze possono essere gravi. Occorre dunque ragionare in modo trasversale, da un punto di vista tecnico, agricolo, economico e industriale».
«Continuiamo a supportare iniziative di questo tipo per incoraggiare la ricerca in viticoltura – dichiara Filippo Mobrici, Presidente Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato – La tavola rotonda di questa mattina, impreziosita dalla presenza di relatori di massima caratura, è un modo per ravvivare l’attenzione su una questione di nodale importanza per tutto il nostro comparto. In questo senso è necessario stimolare un ragionamento sinergico che coinvolga in qualche modo anche le istituzioni, a cominciare dalla questione del reperimento di fondi destinati alla ricerca».